Le patatine fritte in busta, chiamate anche chips per distinguerle da quelle a bastoncino (in inglese si chiamano french fries) costituiscono uno dei principali snack comuni concepiti per la grande distribuzione, ed uno dei prodotti che come moltissimi altri ha trovato un successo crescente con lo sviluppo delle tecniche di conservazione. L’invenzione delle chips, che sono di fatto delle sfogliee di patate fritte, alle quali sono spesso aggiunti aromi, risale al 19° secolo, ideate da un cuoco nordamericano di origini native, che di fronte ad una specifica richiesta di patatine a bastoncino sempre più sottili, ideò quasi per far arrabbiare il cliente queste sfoglie di patate così sottili da essere impossibili da essere raccolte con la forchetta. L’idea invece di innervosire il cliente lo estasiò. Fino agli anni 30 tuttavia, in mancanza di un’adeguato strumento che ne permettesse la commercializzazione in busta, le patatine non riuscirono a trovare consensi. Ma le patatine in busta fanno male?
Patatine in busta, fanno male? Ecco la risposta
Sono generalmente concepite come parte dei numerosi “cibi spazzatura“, in quanto presentano oltre che un elevata concentrazion di sale ed aromi, un contesto di frittura che non sempre risulta essere portata avanti. Infatti come tutti i prodotti a base di amido sottoposti a calore eccessivo, anche le patatine che diventano poi il prodotto finito contengono acrilammide, cioè una sostanza potenzialmente tossica e cancerogena.
In generale un organismo sano riesce a smaltire l’apporto sviluppato da una dose non eccessiva di patatine, in quanto resta sufficientemente digeribile ma non prima di aver portato effetti negativi all’organismo.
Una ricerca statunitense ha infatti costantato su un numero di persone, a seguito di test approfonditi che la tendenza a sviluppare malattie cardiovascolari e tumori è più alta per chi fa un uso smodato di questo alimento.
Le patatine in busta sono comunque gestibili, basta non esagerare nelle dosi, in genere una busta a settimana non provoca danni.
